Gennaro Gattuso, ex allenatore di Milan e Napoli, è intervenuto in un’intervista al Corriere della Sera a seguito delle accuse di razzismo da parte dei tifosi del Valencia prima della firma (ancora non arrivata) col club spagnolo. Ringhio, il cui incarico al Tottenham era stato bloccato proprio per le stesse becere accuse, ha ancora una volta risposto alle polemiche raccontandosi a 360°. L’ex centrocampista, nel suo lungo racconto, ha svelato anche un retroscena del suo addio al Milan che rappresenta al meglio ‘l’uomo’ Gennaro Gattuso.
La difesa di Gattuso
“Sono figlio di emigranti, non posso essere razzista. Sono molto diverso da come vengo descritto da 12 mesi a questa parte. C’è l’obiettivo di delegittimare una persona, una vita – ha dichiarato Gattuso -. I tribunali sono cose serie, mentre qui il patibolo tecnologico si abbatte e definisce sentenze senza possibilità di appello. Io non sono un tipo da social. Se mi chiamano Ringhio, ci sarà un motivo. Non vado a caccia di facili consensi, non faccio il simpatico a comando. Sono uno che lavora, che ha sempre lavorato, che ha faticato tanto e che è grato alla vita per quello che gli ha dato. Quando sento dire che sono razzista mi sembra di impazzire”, ha aggiunto l’ex tecnico rossonero.
Gattuso vicino al Valencia ma è polemica. Lui si difende: “Io razzista? Siamo impazziti…”
E ancora: “Io sono uno che lavora, che ha sempre lavorato, che ha faticato tanto e che è grato alla vita per quello che gli ha dato. Quando sento dire che sono razzista mi sembra di impazzire. Nessuno può essere giudicato, mai, per il colore della pelle. Il razzismo va combattuto sempre. Per me conta la persona, la sua onestà, la sua lealtà”.
“I miei erano falegnami, io ho lasciato casa a 12 anni per fare il calciatore. Ho patito, ma in silenzio. Mio padre è andato a lavorare in Germania per un ann e mezzo, un quarto della mia famiglia è sparso nel mondo, tutti sono andati a cercare quella fortuna che la Calabria non gli aveva concesso. Come diavolo potrei essere razzista?”.
L’addio al Milan
Parlando dell’addio al Milan si era discusso di una grande rinuncia economica da parte di Ringhio per permettere al suo staff di essere pagato: “Sì. Erano cinque milioni e mezzo netti. Una parte è andata a pagare lo staff che altrimenti, con la mia uscita, sarebbe rimasto a piedi e non era giusto. Ma non mi è pesato più di tanto. Il Milan, da giocatore e da allenatore, mi ha trasformato la vita. Io non posso dimenticare quando, dopo la vittoria nella Champions del 1990 mio padre mi portò a sfilare in paese con la maglietta rossonera indosso. Ero fiero di indossarla, anche se, ovviamente era una replica, non una originale”.
“Se è successo lo stesso anche al Pisa? No lì i soldi ce li ho proprio messi, di tasca mia. Ma sono stato felice. Avevamo centrato una inaspettata e bellissima promozione in serie B e la società si trovava in difficoltà”.